Rinuncia dei Soci ai crediti

26 Giugno 2023

Notizia Flash n. 32/2023

——Un’interessantissima sentenza della Corte di Cassazione (la n. 16595/2023 del 12 giugno 2023) offre lo spunto per affrontare una casistica che non è raro riscontrare nella vita di una società: parliamo della rinuncia, da parte dei Soci, ai crediti da essi vantati nei confronti della propria società.

——Fino all’anno 2015 la fattispecie era disciplinata dall’art. 88, comma 4, del D.P.R. n. 917/86, che così disponeva “Non si considerano sopravvenienze attive (…) la rinuncia dei soci ai crediti (…)”. Tale disposizione si prestava facilmente a realizzare un “salto d’imposta” tra il regime di deduzione dei costi della società (per competenza) e quello di tassazione del socio (per cassa): si pensi, a titolo d’esempio, agli interessi sui finanziamenti soci, che la società deduceva man mano che maturavano, mentre il socio li tassava solo all’atto del loro incasso; in caso di rinuncia, alla deduzione degli interessi maturati da parte della società non corrispondeva alcuna tassazione in capo al socio.

——Per “correre ai ripari”, l’Amministrazione finanziaria prima e la giurisprudenza poi hanno introdotto la tesi del cd “incasso giuridico”: quando il socio rinuncia ad un reddito che sarebbe stato tassato per “cassa”, per il Fisco è come se avesse comunque incassato quel reddito, e gli chiede le imposte sul medesimo. Questa interpretazione è stata applicata non solo alla fattispecie della rinuncia agli interessi sui finanziamenti soci, ma anche al caso della rinuncia al trattamento di fine mandato da parte dell’amministratore-socio.

——Dall’anno 2016, però, la norma è cambiata: la fattispecie è ora disciplinata dall’art. 88, comma 4-bis, del D.P.R. n. 917/86 che dispone che “La rinuncia dei soci ai crediti si considera sopravvenienza attiva per la parte che eccede il relativo valore fiscale”. Questo significa, all’atto pratico, che quando il socio rinuncia ad un proprio credito (sia esso di natura commerciale o finanziaria), la società viene tassata solo se il socio è divenuto creditore della medesima versando un importo inferiore al valore nominale del credito cui sta rinunciando: in concreto, ciò si verifica soltanto quando il credito sorge senza alcun versamento da parte del socio (es. credito per interessi su finanziamento soci, credito per trattamento di fine mandato) oppure viene acquistato da terzi “a sconto” (es. credito di fornitura acquistato da terzi ad un prezzo inferiore rispetto all’importo risultante dalla fattura di vendita).

——Questo significa che, per il socio che ha erogato un finanziamento alla società, il credito per gli interessi maturati ha un valore fiscale pari a zero, e pertanto la sua rinuncia genera tassazione in capo alla società: viene quindi scongiurato il pericolo del “salto d’imposta” e non vi è più alcuna ragione per rincorrere il socio per chiedergli di versare le imposte su un reddito che non ha mai percepito.

——Nonostante la novità normativa sia datata 2016, ancora oggi la tesi dell’incasso giuridico spopola negli uffici dell’Amministrazione finanziaria e nelle aule delle Corti di Giustizia Tributarie.

——Ed allora non può che salutarsi con favore il primo arresto della Corte di Cassazione (che giudicava un fatto del 2017, quindi sotto la vigenza della norma nella sua attuale versione) che, riconoscendo la sussistenza di una simmetria tra “valore fiscale del credito” e “sopravvenienza attiva non tassabile” in capo alla società, ha sconfessato l’applicazione della tesi dell’incasso giuridico.