La deducibilità dei compensi degli amministratori

18 Settembre 2023

Notizia Flash n. 42/2023

——L’art. 2389, comma 1, del Codice civile stabilisce che “I compensi spettanti ai membri del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo sono stabiliti all’atto della nomina o dall’assemblea”; pur essendo una norma prevista per le S.p.a., la giurisprudenza la ritiene pacificamente applicabile anche alle S.r.l.

——Ai fini della deducibilità del relativo costo – pur non prevedendo nulla, al riguardo, la norma regolatrice (art. 95 del TUIR) – viene comunque richiesta dall’Agenzia delle Entrate un’espressa manifestazione di assenso della compagine sociale in ordine all’an e al quantum della remunerazione dell’organo amministrativo. Nel caso in cui la relativa decisione venga assunta in epoca successiva alla nomina dell’amministratore, sebbene il Legislatore non ponga alcun “paletto” temporale, l’orientamento prevalente della giurisprudenza richiede che la delibera assembleare sia preventiva, cioè sia assunta in epoca anteriore a quella del pagamento del compenso.

——Sul punto, tuttavia, si registra qualche presa di posizione contraria: da un lato Assonime (nel documento “Note e Studi n. 7/2022”) critica la scelta di subordinare la deduzione fiscale di un costo inerente e sostenuto al rispetto delle norme civilistiche, dall’altro la Corte di Cassazione (nella sentenza n. 24652/2022) contempla dichiaratamente la possibilità che la delibera a cui è demandato il compito di fissare il compenso dell’amministratore, non debba essere necessariamente preventiva. Ma, per quanto assunta a posteriori (a ratifica di un emolumento già pagato), una espressa delibera sul compenso dell’amministratore deve comunque esserci, non essendo sufficiente la sola delibera di approvazione del bilancio che comprenda anche tale voce di costo.

——Fin qui la “teoria”. Ma, all’atto pratico, che fare quando il compenso viene pagato, manca la delibera e non si è più nella condizione di “rimediare” ex post? Ce lo spiega la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 13181/2023: il costo diventa indeducibile ai fini IRES per la società, mentre il compenso percepito resta tassabile ai fini IRPEF in capo all’amministratore. Non si verifica nessuna “doppia imposizione” per i massimi giudici, perché i due presupposti impositivi – la mancata delibera e la percezione del compenso – sono diversi; ma il cortocircuito “indeducibilità-imposizione” resta.

——Il rimedio è lapalissiano: la restituzione del compenso alla società da parte dell’amministratore. Qui le strade sono due:

  • l’importo restituito è al lordo della ritenuta a suo tempo applicata dalla società erogatrice → in tal caso la sopravvenienza attiva non è tassabile ai fini IRES in capo alla società e l’importo pagato dall’amministratore costituisce un onere deducibile ai fini IRPEF per il medesimo (art. 10, comma 1, lett. d-bis del TUIR);
  • l’importo restituito è al netto della ritenuta a suo tempo applicata dalla società erogatrice → in tal caso alla società (che introita un importo inferiore al costo a suo tempo pagato) spetta un credito d’imposta pari al 30% dell’importo restituito, mentre l’esborso per l’amministratore non costituisce più un onere deducibile dal reddito imponibile IRPEF (art. 10, comma 2-bis del TUIR).

——Allo stato dell’arte il rimedio prospettato appare l’unico in grado di mitigare gli effetti fiscali del pagamento del compenso senza alcuna delibera assembleare a monte.